Una vita da runner
Per un runner che si sveglia prima dell’alba e si preparare per andare a correre, l’azione più difficile da fare è mettersi le scarpe
Uno degli obiettivi principali del centro di fisioterapia e osteopatia Physio Cast-One è il recupero fisico dell’atleta. In questo senso presso il nostro centro in Via Alessio Baldovinetti, 26 (Roma – zona EUR) è possibile sottoporsi a programmi di riabilitazione per sportivi professionisti e non.
Come si diventa runner?
È innanzitutto importante chiarire chi è un runner. Mentre il jogger è una persona che correi senza fare attenzione alla prestazione atletica, il runner bada alla velocità e alla distanza che fa e si allena per incrementare la propria condizione atletica. Per diventare runner non è necessariamente richiesto di diventare atleti agonisti.
È evidente, però, che quando ci si impegna negli allenamenti, ad un certo punto si ha voglia di mettersi in competizione e magari iscriversi ad una gara.
In ogni caso, chi ha da poco concluso una tabella per cominciare a correre, prima di buttarsi sulle gare dovrebbe attendere almeno sei mesi così da avere il tempo per consolidare i risultati ottenuti e non correre il rischio così di infortunarsi a livello muscolare o tendineo.
È consigliabile allenarsi liberamente, ascoltando sempre prima di tutto le sensazioni del proprio corpo al fine di non andare oltre il limite. Sovente, anche tra i runner di lungo corso, e ovviamente fra i principianti, chi segue pedissequamente una tabella corre il rischio di incorrere in un infortunio per stare dietro ad un programma troppo veloce o troppo intenso.
Chiunque può correre, a qualsiasi età. Prima di cominciare è fondamentale accertare che non esistano impedimenti medici. Pertanto ci si deve sottoporre ad una visita medica che attesti l’idoneità agonistica.
Prenota oggi una visita medica
Qualora si volesse partecipare a competizioni è obbligatorio, ma è bene farla in ogni caso al fine di escludere disfunzioni cardiache o altre problematiche che, se trascurate, potrebbero mettere a repentaglio anche la vita del runner.
Chi corre deve essere consapevole delle proprie capacità
Prendere coscienza delle proprie capacità, è il primo step per diventare un runner. Occorre misurare le distanze che si percorrono. Con il trascorrere del tempo si arriverà a capire quanto si è migliorati.
Non è strettamente necessario avere strumenti come GPS o cardiofrequenzimetro.
Allo stesso modo non si può non disporre di un cronometro. In una fase iniziale ci si deve limitare a misurare, non è richiesto di correre velocemente o abbassare i tempi.
È fondamentale prendere confidenza con il cronometro e cominciare a comprendere la distanza che si percorre ogni giorno e ogni settimana. È importante utilizzare questa fase per cominciare a ragionare in “minuti al chilometro”, l’unità della velocità che si usa nel running.
È importante aumentare la velocità degli allenamenti gradualmente
In un secondo step si possono inserire allenamenti più veloci, sempre in maniera graduale. L’errore più importante che si può fare è quello di essere preda dell’entusiasmo e incrementare il ritmo ad ogni allenamento, con la possibilità di infortunarsi. I primi lavori veloci da fare sono quelli “a sensazione”.
Un buon metodo per allenarsi è la corsa lenta con cambiamenti di ritmo: consiste nel classico allenamento di corsa lenta all’interno del quale sono introdotti pezzi da percorrere ad un ritmo gradatamente più rapido.
Durante i tratti veloci la respirazione deve essere impegnata, evitare l’affanno. Prima di cominciare con i tratti rapidi, eseguire un buon riscaldamento.
Una seconda tipologia di allenamento da introdurre è quello dell’ 1 + 1, ovvero un minuto veloce intervallato ad un minuto lento oppure in alternativa 200 metri veloci e 200 metri lenti. Si inizia con la classica corsa lenta e, intorno alla conclusione dell’allenamento, si inseriscono una serie di tratti veloci intervallati a tratti lenti.
In confronto all’allenamento precedente è fondamentale più attenzione: occorre cercare di correre tutti i tratti rapidi allo stesso ritmo, mentre i recuperi dovranno essere fatti alla stessa andatura della corsa lenta.
Qualora si sentisse il bisogno di procedere più lentamente o di camminare per recuperare vuol dire che è stato superato il limite nei tratti veloci.
Capire il giusto ritmo
Si può cominciare nella fase iniziale con 3 o 4 ripetizioni fino a giungere a 10 – 12 dopo qualche mese: le prime volte sarà complesso impostare la velocità idonea o ritmo di riferimento, infatti se troppo lenta è poco allenante, se troppo veloce si ha difficoltà a terminare l’allenamento. Il ritmo di riferimento può essere calcolato aggiungendo 30’’ al ritmo al chilometro del PB del corridore sui 10 chilometri + 30’’.
Un buon allenamento settimanale
Con il trascorrere del tempo verrà automatico aumentare gradatamente la lunghezza dei tratti veloci, fino ad essere in grado di percorrere tratti veloci di circa 1 chilometro. Il ritmo deve essere tale da permettere 5 o 6 ripetizioni alla medesima andatura e con recupero al ritmo della corsa lenta.
Questi allenamenti hanno il fine di aumentare la velocità che si riesce a mantenere per tratti relativamente lunghi, andando ad intervenire sulla cosiddetta soglia anaerobica.
Qualora ci si preparasse per una competizione a lunga distanza, occorre dividere la settimana con 3 giorni di allenamento per avere adattamenti specifici: miglioramento della capacità aerobica; miglioramento della resistenza, adattamento al ritmo della maratona. Una settimana tipo potrebbe essere la seguente:
- Lunedì – riposo;
- Martedì – lavoro aerobico;
- Mercoledì – miglioramento resistenza;
- Giovedì – riposo;
- Venerdì – miglioramento resistenza;
- Sabato – riposo;
- Domenica – miglioramento resistenza / simulazione di gara.
Preparare una maratona non vuol dire percorrere 200 chilometri settimanali. Il volume idoneo di allenamento è rintracciabile fra i 60 e i 90 chilometri nell’arco di 7 giorni. È importante mantenere un volume crescente alternando settimane di scarico. Un modello potrebbe essere il seguente:
- Settimana 1: 70 chilometri;
- Settimana 2: 80 chilometri;
- Settimana 3: 90 chilometri;
- Settimana 4: 60 chilometri.
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Il lavoro aerobico
Per la corsa di resistenza, per la quale si deve mantenere un’alta intensità per una tempistica prolungata, è importante migliorare anche un altro aspetto: la capacità aerobica, che in parole più comuni può essere definita come la capacità di resistere a lungo alla velocità.
Il primo allenamento utile per migliorare la capacità aerobica è il medio, ovvero una seduta durante la quale si corre, dopo idonea fase di riscaldamento, ad un ritmo uniforme più veloce rispetto a quello della corsa a ritmi bassi.
Il giusto ritmo va trovato con l’esperienza ed è quello che consente di fare il percorso nel suo complesso ad una velocità costante e con respirazione impegnata, ma non in affanno già dalla fase iniziale.
Intorno alla conclusione si avrà un po’ di fiatone, ma se si arriva in apnea significa che si è partiti con ritmi troppo alti. Se, diversamente, fare gli ultimi chilometri non appare faticoso, allora vuol dire che all’inizio si è andati eccessivamente piano.
La corsa progressiva è una variante di quella media: si svolge circa il 50 percento dell’allenamento al ritmo della corsa lenta ed il resto ad un ritmo più elevato.
Si tratta di un allenamento che lascia più libertà rispetto al medio: può essere interpretato in maniera più leggera nei periodi in cui si vuole scaricare un po’ o altrimenti in modo più impegnativo, incrementando il ritmo o la lunghezza del tratto veloce, nel momento in cui ha la sensazione di essere brillanti o si ha voglia di fare un allenamento più impegnativo.
La gestione della condizione fisica
È importante non essere preda dell’entusiasmo e rimanere sempre prudenti, incappare in un infortunio è semplice. Non si potrà sempre aumentare la propria condizione fisica. Quando si è arrivati vicini al proprio limite, i miglioramenti saranno molto meno evidenti.
Inoltre, i periodi di miglior forma fisica solitamente si alternano naturalmente con quelli in cui la condizione atletica è peggiore. È impossibile essere sempre al “top”, è importante assecondare questi momenti.
Simulazione di una gara su lunga distanza
La maratona è una specialità decisamente impegnativa che va preparata in ogni minimo particolare per non incappare in disdicevoli episodi in occasione della gara.
Per questa ragione è fondamentale soffermarsi su allenamenti specifici, indicativamente ogni 3 settimana fino a circa 20 giorni prima della gara al fine di: verificare l’idoneità del ritmo di gara trovato; fare una prova degli integratori con annesse strategie di uso; provare scarpe e vestiario.
La preprazione al ritmo gara è un allenamento molto lungo che può variare dai 30 ai 36 chilometri e con un ritmo di riferimento di +10’’/km. Non si corre al ritmo di riferimento perché si giunge a questo allenamento già appesantiti dai carichi sostenuti durante la settimana.
L’allenamento lungo può essere affrontato in tre maniere: corsa con andatura costante; corsa con ritmo costante e gli ultimi 2 chilometri a ritmo di riferimento -15’’/-20’’; in due sessioni separate: una di mattina durante la quale si percorrono 20 chilometri partendo da ritmo di riferimento +10” giungendo a ritmo di riferimento -5”/km, in orario serale si percorrono altri 20 chilometri con inizio da ritmo di riferimento +10”/km fino arrivando a ritmo di riferimento -5”/km.
Fra i due allenamenti non ingerire carboidrati. Con questo allenamento si misura l’idoneità del proprio ritmo gara. Qualora si verificassero difficoltà nel completare la seconda parte di esercitazione, probabilmente non si riuscirà a finire neanche la maratona.
Prima di affrontare una gara su lunga distanza è consigliabile fare delle mezze maratone, anche fino a 2 settimane prima, per testare la propria preparazione.
Nella settimana antecedente l’impegno si deve fare scarico per il necessario recupero delle energie, a vantaggio della supercompensazione. Pertanto si può procedere con allenamenti a basse andature con un leggero richiamo a media intensità sette giorni prima della gara.
Le principali lesioni del corridore
Come è stato precedentemente specificato è fondamentale essere prudenti e graduali nella pianificazione e nello svolgimento dei propri allenamenti. I corridori incorrono molto frequentemente in infortuni o dolori di vario tipo. Potrebbe apparire come un dato strano, vista la naturalezza del gesto motorio.
Tuttavia, a causa dei ripetuti impatti con il suolo che la corsa comporta, per i runner, i carichi da sopportare e smaltire a livello muscolo – scheletrico sono decisamente importanti.
Facendo un calcolo veloce, un individuo di 70 chilogrammi che corre con una frequenza di corsa di 180 passi al minuto, può arrivare a dover dissipare quasi 40 tonnellate al minuto di sola forza verticale.
È evidente che l’insieme degli impatti con il terreno, se non distribuiti in maniera idonea ed assorbiti, può comportare un grave problema.
Questa situazione è definita “sovraccarico funzionale”. Quest’ultimo si presenta quando muscoli, articolazioni e le loro componenti connettivali (tendini, legamenti, fasce) diminuiscono la loro capacità di gestire e reagire agli stimoli esterni comportando degli scompensi della postura che sovente sono alla base di infortuni, infiammazioni ecc.
Quando una struttura, ad esempio un tendine, risulta essere in sovraccarico funzionale, anche un piccolo evento come un allenamento più duro o un recupero insufficiente potrebbe generare velocemente una condizione di disfunzione o infortunio.
I dati a sostegno di questa tesi sono ormai conosciuti e la percentuale di corridori si sono infortunati a causa di un eccessivo “stress” è molto alta. In uno studio del 2007 (van Gent, et al.) sono descritte percentuale che vanno dal 20 percento all’80 percento.
I principali sette infortuni sono: sindrome femoro – rotulea; tendinite dell’achilleo; contrattura e lesione del bicipite femorale; fascite plantare; periostite; sindrome della bandelletta ileo – tibiale; fratture da stress (sovente a livello dei metatarsi).
Se da un lato è decisamente semplice incappare in uno di questi infortuni, la stessa cosa non vale per il recupero della funzionalità e la scomparsa del dolore.
In ogni disciplina sportiva, a qualsiasi livello, è importante il lavoro di prevenzione. In tal senso, i consigli classici riportano l’importanza di un adeguato riscaldamento, l’utilità dello stretching, la necessità di un’idonea programmazione di allenamento e la supervisione di un esperto, un’alimentazione corretta ed un’attrezzatura corretta indicata per le proprie caratteristiche.
A questi aspetti è importante avere cura della propria postura e individuare i distretti del corpo che patiscono una condizione di elevata tensione o limitata mobilità.
Queste analisi consentono di avere una visione cristallina della propria condizione di sovraccarico e poter quindi intervenire con le attività più adeguate. In questa maniera si scongiura il rischio di infortuni permettendo al fisico di compensare al meglio i carichi derivanti dagli impatti sul terreno.
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L’esperienza di Luca Raja
Per capire cosa significa essere runner, il centro di fisioterapia e osteopatia Physio Cast-One ha portato come testimonianza l’esperienza di Luca Raja, corridore seguito dal dal Dott. Piero Castellano.
«Correre, farlo per tanti e tanti chilometri, correre in natura o in montagna è una delle attività più rilassanti che si possano fare – ha esordito.
Luca Raja –
Mi sono avvicinato allo sport in età adulta, dopo un periodo difficile dal punto di vista salutare. La pratica sportiva non solo mi ha profondamente cambiato, ma ha anche cancellato la mia patologia.
Ho imparato a correre in maniera autonoma.
Non mi sono mai piaciute le tabelle o qualcuno che ti dice come allenarti, il mio percorso nello sport è stata pura conoscenza autonoma ed esperienza personale. Ho imparato ad ascoltare il mio corpo ed è attraverso di lui che ho capito tante cose.
Avvicinarsi allo sport vuol dire compiere uno sforzo iniziale molto importante, in quanto siamo pigri, il corpo inizialmente è sottoposto a dolori acuti. Diventare uno sportivo, dopo che ci si è trascurati, è come trasformarsi in farfalla dopo essere stato un bozzolo per lungo tempo.
Mi preparo duramente per correre le mie gare ultratrial, ho una vera passione per questa specialità perché spesso nei 100 – 150 chilometri chilometri che corri, affronti uno stato psicofisico che ti fa avvicinare alla tua anima.
È un’esperienza davvero profonda.
La mia settimana media è composta da 3 allenamenti, 33km con 1,500 metri di salite e discese. Ogni volta che esco per allenarmi, mi alzo alle 3:45 facendo una lunga colazione.
Dopodiché alle 5 del mattino sto già calpestando il manto soffice di foglie in autunno o la dura terra secca d’estate.
Corro in qualsiasi condizione, non importa se c’è una nebbia fitta, che a malapena ti permette di vedere i tuoi piedi, o la pioggia per tutta la durata dell’allenamento.
Non sono un problema neppure le temperature sotto lo zero. Conta solo allenarmi e basta!
Si ha una sensazione diversa ad ogni allenamento.
L’aspetto più duro inizialmente è abituarsi a correre nel bosco, da solo ovviamente, alle 5 del mattino con la lampada frontale, consapevole che nel periodo di minor luce dell’anno correrai almeno due ore e mezza al buio.
Può sembrare folle, ma vi assicuro che le sensazioni che si provano sono un’altalena di diverse emozioni. Si passa dal correre nella nebbia dove spesso ti perdi nei pensieri con la sensazione di correre sempre nello stesso punto, al fare attività di running sotto un diluvio incessante con un freddo cane convinto che niente e nessuno ti può abbattere.
Poi c’è il periodo primaverile che è un’esplosione di profumi e colori, ogni settimana il bosco ti regala una fioritura diversa, pura estasi ma devo dire che la cosa che mi emoziona di più è l’alba, quando arriva in tutta la sua bellezza e le stelle lasciano spazio alla luce e al sole: è pura energia!
In questi 3 – 4 anni di crescita da ultrarunner ho imparato molto: dalla scelta delle scarpe, che è fondamentale per la stabilità del corpo e delle articolazioni, all’alimentazione in gara.
Soprattutto ho imparato e sto imparando a correre sia in salita che in discesa, perché partecipare ad una gara vuol dire dare tutto quello che hai ma soprattutto gioire della natura e dei luoghi che fortunatamente hai potuto attraversare.
Fare sport vuol dire vivere a lungo, vivere positivi, debellare ogni forma di malattia, acquisisci una forma mentis universale d’amore, quella che magari spesso la stessa vita ti ha portato ad accantonare per qualsiasi ragione, ma si è sempre in tempo per cambiare, sempre».
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La scelta della giusta scarpa da running
Abbiamo potuto vedere come la scelta sbagliata della scarpa possa provocare diverse tipologie di infortuni durante la corsa. Pertanto, siamo arrivati all’assunto che non si può fare a meno di una scarpa da running idonea per l’appoggio, la postura, per il peso del corpo e per i ritmi di gara.
Per fare in modo che la scelta ricada sulla scarpa giusta è importante analizzare i vari parametri della scarpa, oltre che alla caratteristiche tecniche, è fondamentale sentire che la scarpa sia perfetta sul piede, ovvero sia confortevole e comoda.
Prima di acquistare un paio di scarpe è consigliabile sottoporsi ad un esame baropodometrico e parotec per approfondire l’appoggio del piede sia in situazione statica che durante l’attività di running.
Una volta avuto l’esito degli esami e valutato se il nostro appoggio è neutro (arco plantare normale), pronatore (appoggio interno), supinatore (appoggio esterno), si passa alla fase successiva che è quella di recarsi presso un’osteopata per controllare la postura corretta del nostro corpo. Infine, andare in un punto vendita specializzato che ci consenta di provare le scarpe anche su Tapis Roulant.
L’alimentazione dei runner
Essere un buon runner è complicato. Oltre a scegliere le scarpe idonee, è importante anche seguire una corretta alimentazione. Chi meglio della nutrizionista del centro di fiosterapia e osteopatia Physio Cast-One, Dottoressa Lidia Tosto, può aiutarci.
Prenota oggi il tuo appuntamento con la nostra nutrizionista.
La pratica di uno sport, al fine di raggiungere il massimo rendimento, necessita di regole ed indicazioni precise non solo durante l’allenamento ma anche in campo nutrizionale e l’alimentazione deve essere considerata come parte dell’allenamento stesso.
Nonostante gli sportivi, amatoriali o professionisti, richiedano attenzioni nutrizionali ulteriori per ottimizzare la performance sportiva, hanno esigenze simili alla popolazione generale.
L’approccio nutrizionale allo sportivo di qualsiasi livello deve essere globale e tenere quindi in considerazione tutti i suoi aspetti, a partire dai fabbisogni quantitativi specifici relativi alla disciplina e al ruolo praticato, dal periodo di allenamento a più alto o basso carico fino ad arrivare al timing di assunzione in base all’organizzazione della giornata.
È importante da sottolineare che le reali necessità energetiche non devono essere né sottovalutate rischiando un insufficiente apporto di energia e nutrienti, né enfatizzate eccessivamente, perché se è vero che gli sportivi professionisti hanno un più alto carico di allenamenti e quindi un più alto dispendio energetico è pur vero che più è alto il livello agonistico degli atleti tanto minore sarà il dispendio energetico per l’esecuzione dei gesti tecnici specifici ripetuti ogni giorno.
Gli atleti dovrebbero trarre profitto dalla guida di professionisti qualificati in nutrizione dello sport, i quali possono fornire informazioni sul
fabbisogno energetico e idrico ed aiutare a sviluppare delle strategie nutrizionali che aiuteranno infatti gli atleti a raggiungere una forma ed una composizione corporea ottimale per avere successo nel loro sport.
Corrette abitudini alimentari permettono quindi all’atleta di:
- fornire energia sufficiente per allenarsi ad alti livelli
- ottenere un guadagno ottimale dai programmi di allenamento e migliorare il recupero tra le singole sedute di allenamento e gare
- raggiungere e mantenere una composizione corporea ideale in termini di rapporto tra massa grassa e massa magra
- trarre beneficio di molti componenti della dieta in grado di promuovere la salute
- ridurre il rischio di traumi, sindrome da superallenamento e malattie
- raggiungere alti livelli di prestazione in gara
- godere anche dell’aspetto conviviale del cibo nella quotidianità e nelle trasferte
E’ importante quindi che il nutrizionista formi l’atleta verso una sua coscienza alimentare, evitando che esso si lasci sedurre da diete non corrette o da prescrizioni di integratori inutili o addirittura a rischio doping.
È necessario comprendere inoltre che gli obiettivi e le esigenze nutrizionali non sono statiche: il supporto nutrizionale ha bisogno di essere periodizzato prendendo in considerazione le necessità della singola sessione di allenamento (meno o più impegnativa) o dell’intera stagione, e personalizzato per il singolo atleta considerando gli obiettivi personali, le sfide pratiche, le preferenze individuali e le reazioni alle varie strategie.
Se immaginiamo il corpo di uno sportivo come un motore, ci sono i nutrienti come carboidrati e lipidi e in misura ridotta le proteine, che hanno una funzione di carburante per la produzione di energia, e nutrienti che agiscono come additivi, cioè minerali, vitamine ed acqua che intervengono nel meccanismo di produzione di energia e sono indispensabili per l’adeguato funzionamento del motore.
In ultimo, avremo necessità di nutrienti che intervengono nel processo di raffreddamento, eliminando il calore prodotto quali acqua e minerali: ogni nutriente quindi risulta essenziale.
Per comprendere in che modo deve essere impostata una dieta equilibrata per un runner, sia esso amatoriale o sportivo, è bene conoscere i meccanismi che stanno alla base del metabolismo energetico dell’esercizio.
La contrazione muscolare, e quindi tutti i tipi di esercizio fisico, dipendono dall’idrolisi dell’adenosina trifosfato (ATP) a adenosina difosfato (ADP) e fosfato inorganico (Pi), e dal concomitante rilascio di energia.
La quantità totale di ATP immagazzinata all’interno delle cellule del corpo però è molto esigua e si esaurisce velocemente, perciò le cellule ricorrono a tre grandi processi, i cui simultanei e coordinati contributi sono responsabili della sintesi di ATP durante esercizi di diversa intensità e durata; una qualsiasi riduzione dell’ATP muscolare coincide con sviluppo precoce del senso di fatica, definito come una riduzione di forza o di potenza del muscolo.
I tre grandi sistemi energetici sono:
- il sistema fosfageno, che sta alla base del metabolismo di tipo anaerobico alattacido, è la via più breve in grado di sintetizzare energia e quindi quella predominante in esercizi che hanno una durata dai 3 ai 15 secondi.Utilizza come substrato la fosfocreatina (CrP) fino al suo completo esaurimento (molecola immagazzinata nel muscolo scheletrico immediatamente disponibile, velocemente esauribile ma in continua rigenerazione).In questo processo energetico, utilizzato per lo più per scatti, salti ed attività di potenza, non sono utilizzati né i carboidrati né i grassi, né è necessaria la presenza dell’ossigeno.
- il processo di glicolisi anaerobica, che sta alla base del metabolismo anaerobico lattacido, subentra in esercizi che hanno una durata maggiore che va dai 15 secondi ai 2 minuti. Durante la glicolisi i carboidrati, sotto forma di glucosio o di glicogeno che viene precedentemente mobilizzato e degradato, sono parzialmente scissi in assenza di ossigeno.Questo porta alla produzione di acido lattico, il quale tende ad accumularsi causando l’insorgenza della sensazione di fatica. Questo rappresenta un altro mezzo molto rapido per generare energia, utilizzato negli sforzi brevi ma sufficientemente lunghi da produrre dispnea da sforzo o affanno e sensazione di fatica.
- il sistema della respirazione mitocondriale, che sta alla base del metabolismo aerobico, riesce invece (a differenza degli altri) a sostenere sforzi prolungati nel tempo e, seppur più lento, è notevolmente il più efficiente.Avviene in presenza di ossigeno, che è sempre presente in sforzi di medio-bassa intensità ma di lunga durata come la corsa, ed utilizza come substrati per il processo di ossidazione non solo il glucosio ed il glicogeno muscolare ma anche gli acidi grassi di cui sono formati i grassi ed in casi estremi gli aminoacidi di cui sono formate le proteine.
Come si può intuire quindi la regolazione dei tassi metabolici dipende dalla durata e dall’intensità dello sforzo fisico: a basse intensità e durata medio-lunga circa l’80% di energia deriva dai grassi, e solo un 20% dai carboidrati.
Aumentare dell’intensità
All’aumentare dell’intensità dello sforzo il contributo relativo dei grassi diminuisce mentre quello dei carboidrati aumenta fino a diventare quello prevalente: è questa la logica secondo cui l’organismo predilige l’utilizzo dei grassi o degli zuccheri come substrati energetici.
Compresa la fisiologia dell’esercizio è chiaro quindi che in base al livello di attività fisica (amatoriale o agonistico), alla specialità praticata (velocità: 60-100-200-400-800 mt, mezzofondo: 1500-3000 mt, fondo: 5000-10.000-maratona), e di conseguenza al tipo di metabolismo energetico prevalente, la corsa si può collocare tra gli sport di potenza (o anaerobici alattacidi), prevalentemente anaerobici lattacidi o prevalentemente aerobici.
Ed è proprio in base a queste diversità bioenergetiche che la corsa intesa come sport non può essere generalizzata, ma dovrà essere caratterizzata da specifiche strategie nutrizionali pre-, durante e post-allenamento che oltre a garantire adeguati apporti energetici dovrà tenere conto anche degli obiettivi personali della persona che sta praticando l’attività fisica.
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